Carissimo Raffaele, forse troppo facile oggi ringraziarti e farti i complimenti, ma anche noi Maristi vogliamo unirci a qual coro di italiani che gioisce quando vede un suo "simbolo" innalzato ad esempio per tutti come "personaggio da ricordare in questo 2014". Grazie per la tua semplicità, come uomo, come papà (quando accompagnavi i tuoi figli qui a scuola), come giuglianese innamorato della propria città. Il vento soffia nelle tue vele, il Signore forse ti chiama a svolgere incarichi più complessi, non lasciarti incastrare nelle logiche della politica, vola alto ma sopratutto ricordarti sempre da dove sei venuto, della tua famiglia, della tua scuola, dei tuoi amici. Marcellino, uomo concreto e grande lavoratore, capace di stare con i piedi per terra ma tenere lo sguardo alto tra le nuvole ti sia d'esempio, la Buona Madre ti accompagni, ti doni la serenità per svolgere sempre al meglio i compiti che ti sono chiesti. Un Abbraccio Marista
pubblichiamo l'articolo
Raffaele Cantone è l'uomo dell'anno
Incarna la speranza di un’Italia diversa. Dove la corruzione non sia più la regola. Ecco chi è il magistrato che può sconfiggere le tangenti
Raffaele Cantone è un uomo
semplice, di quelli che un tempo venivano definiti “tutto casa e lavoro”. Non
apprezza i lussi, non dedica attenzione agli abiti e disdegna i ristoranti: a
Roma e a Milano dorme in caserma e condivide i pasti con la sua scorta in
tavole calde da commesso viaggiatore. Un provinciale, orgoglioso delle sue
radici, che non sono a Napoli, metropoli di splendori e miserie, ma in un
paese, Giugliano, confuso nella sterminata periferia di tristi palazzoni
cementati dalla camorra.
Lui però ama quel posto, dove
continua a vivere con la sua famiglia nonostante sia diventato il confine
avvelenato della Terra dei Fuochi: lo guarda ancora con gli occhi della sua
infanzia, quando era un borgo profumato di alberi da frutta, «qualche mucchio
di case tra piante di pomidoro, èdere e povere palanche», scriveva Pier Paolo
Pasolini. Lì la gente sapeva che il futuro si costruisce sgobbando sodo, senza
mai rinunciare alla dignità.
Avvocati, medici, infermieri e
farmacisti si sono uniti contro l'autorità anticorruzione. Perché la norma che
vieta di sommare incarichi dirigenziali ed elettivi non gli piace. E neanche a
tanti politici, dal Pd a Fi ed Ncd
Oggi, a 51 anni, Cantone non
riesce ad accettare che tutto sia stato stravolto, che in due decenni luoghi e
valori siano stati cancellati da una colata di malaffare. Ed è da questo
cruccio personale che nasce il suo tormento e il suo impegno, l’incapacità di
rassegnarsi alla grande slavina che lentamente sta sommergendo l’Italia,
procedendo da Sud a Nord. Un decennio di attività come magistrato antimafia gli
ha dato una sola certezza: è inutile cercare di risolvere i problemi con gli arresti
e i processi. C’è un male più profondo, sociale e morale, che le retate non
hanno intaccato. E c’è la necessità di «salvare la botte finché è piena»,
ricostruire la speranza «dividendo il grano dalla malerba». Per questo adesso
si è tuffato nella nuova attività di presidente dell’Autorità nazionale
anticorruzione, forse il primo organismo creato nella storia della Repubblica
per cercare di affrontare la questione.
L’incarico è arrivato quasi per
caso. Fosse per lui, avrebbe continuato a fare il magistrato. Un lavoro che
aveva sempre sognato. Figlio di un piccolo funzionario delle poste, appartiene
all’ultima generazione che ha creduto nei concorsi pubblici come ascensore per
la carriera. Il primo lo ha vinto all’Inail di Roma, per rendersi conto che con
lo stipendio sarebbe riuscito a stento ad affittare una stanza. Poi è arrivata
la toga, che gli ha permesso di concretizzare la passione per il diritto
penale, l’unico trenta con lode del suo libretto universitario. Una strada
tutta in salita, dalla pretura alla procura antimafia. Quando ha cominciato a
indagare sui casalesi, non era un incarico prestigioso: il regno sanguinario
del clan casertano non aveva ancora conquistato le prime pagine.
Un’attività difficile e
rischiosa, che lo ha portato dai delitti al pilastro imprenditoriale della
cosca. Poi è arrivato Roberto Saviano che ha trasformato alcune delle sue
inchieste nel cuore della narrazione di “Gomorra”, imponendo il suo nome
all’attenzione dei media. Ma risultati e popolarità in magistratura contano
poco. Concluso il periodo come pm, si è ritrovato in Cassazione, nel
massimario, l’ufficio che trasforma in regole le sentenze della Suprema corte.
È stato come ripartire da zero, occupandosi soprattutto di fisco.
Due anni fa il tentativo di
tornare a Napoli come procuratore aggiunto è stato bloccato dal Csm, che gli ha
preferito candidati con maggiore anzianità e probabilmente più aderenze nel
sottobosco delle correnti: una bocciatura vissuta come un trauma.
Altre lusinghe si erano già fatte
sentire. Il Pd prima con Walter Veltroni e poi con Pier Luigi Bersani gli hanno
proposto poltrone in Europa e al Senato, inclusa quella di sindaco di Napoli.
Ma Cantone ha sempre detto no. Un rifiuto nato anche da un’alta considerazione
per il ruolo dei partiti, che reputa fondamentali per la democrazia, e da una
certa diffidenza verso i “tecnici” passati in politica. Si sente “uomo delle
istituzioni” e finora non è riuscito ad immaginarsi in un ruolo diverso.
La chiamata di Matteo Renzi è
arrivata in maniera inattesa. Negli ultimi anni Cantone aveva spostato
l’attenzione dalle cosche alla corruzione, intuendo la metamorfosi borghese
della criminalità organizzata, sempre meno armata, sempre più imprenditrice.
Negli interventi su “l’Espresso” aveva sottolineato come gli organismi varati
dal Parlamento per combattere le tangenti non erano mai stati resi operativi. E
il nuovo premier nove mesi fa gli ha chiesto proprio di guidare l’Autorità
anticorruzione. Non bisogna immaginarla come una task force: si trattava di circa
trenta persone, organico che testimonia la scarsa volontà di combattere il
fenomeno. Il segnale straordinario però è stato il consenso di tutti i partiti
alla sua nomina. E la velocità con cui si è cercato di rendere efficace la
struttura, fondendola con un’altra authority - quella per la vigilanza sui
contratti pubblici - che nonostante contasse su trecento funzionari e troppi
dirigenti non si era mostrata capace di ostacolare il mangia-mangia.
Cantone non è uno sceriffo, non
ne ha i poteri e non si riconosce in questa figura. Da Roma a Milano, oggi
viene sempre più evocato come la persona che finalmente caccerà i tangentisti,
come l’ennesimo uomo della provvidenza. La realtà è assai diversa. L’Autorità
che presiede non può condurre indagini, non può intercettare, né perquisire. Ha
prerogative limitate, ma allo stresso tempo rivoluzionarie: può imporre la
trasparenza. Obbligare ministeri, regioni, comuni e società miste a divulgare
online come vengono spesi i soldi, dal primo all’ultimo euro: una delle colonne
delle democrazie moderne.
Cantone non crede che si possa
azzerare la corruzione. Ma ritiene che sia indispensabile costruire argini per
ridurla «a livelli fisiologici, gli stessi dei paesi occidentali». E sa che
questo obiettivo non si raggiunge con i processi penali o le manette: ha ben
chiara l’illusione collettiva alimentata dall’epopea di Mani Pulite. Il
cambiamento sarà possibile soltanto se diventerà patrimonio comune, se i
cittadini e gli imprenditori si faranno carico di una svolta virtuosa. E se gli
italiani si renderanno conto che vivere senza bustarelle non solo è etico, ma è
pure conveniente: garantisce servizi migliori alla popolazione e più guadagni
alle aziende.
Un approccio pragmatico,
sintetizzato in poche righe: «aumentare l’efficienza nell’utilizzo delle
risorse, riducendo i controlli formali, che comportano appesantimenti
procedurali e di fatto aumentano i costi della pubblica amministrazione senza
creare valore per i cittadini e per le imprese». Cosa significa? Che i piani
anticorruzione obbligatori per gli enti pubblici non siano compitini
burocratici, ma una diagnosi dei settori in cui si infila il malaffare. Finora
queste procedure si sono rivelate inutili: «Ci sono municipi che hanno copiato
il piano anticorruzione del comune vicino senza neanche cancellarne il nome».
Nel caso degli appalti non vuole che l’Autorità riceva la documentazione su
tutte le gare: una montagna di carte che non si riuscirebbe mai ad esaminare. È
invece necessario concentrarsi sugli snodi dove prosperano le mazzette: le
famigerate “varianti in corso d’opera”, che dilatano tempi e prezzi dei
cantieri. Delle prime 90 analizzate, 21 sono state considerate irregolari: il
caso più clamoroso è la Metro C capitolina, aumentata di 700 milioni e ancora
lontanissima dal traguardo. Certo, c’è un problema a monte: la complessità
delle procedure, quei regolamenti “criminogeni” che sembrano scritti apposta
per trasformare gli appalti in un buco nero di illeciti. E anche su questo si
vuole mettere mano.
Perché la missione è prevenire,
non punire: agire prima che ci sia stato il danno, scoprire le situazioni
sospette e indicare come correggerle. Quello che si tenta con l’Expo, mettendo
un muro contro l’assalto dei tangentisti. Non è un’impresa facile. A Milano
l’ufficio di Cantone è arrivato a un passo dallo scontro con i responsabili del
Padiglione Italia, il cardine dell’evento ma anche quello più in ritardo nei
lavori. Forse perché si contava sull’emergenza: l’occasione di sfruttare la
corsa contro il tempo per ottenere più fondi e meno controlli. Come è accaduto
con il G-8 alla Maddalena, inutile cattedrale dello spreco costata centinaia di
milioni.
L’arma più forte è il
commissariamento. Che però è “calibrato”: non riguarda l’intera azienda,
meccanismo che nelle inchieste antimafia spesso ha portato a risultati
disastrosi, ma solo il contratto sotto accusa: si mira a completare i cantieri,
garantendo il risultato finale per la collettività. È un esperimento nuovo, che
si sta applicando all’Expo, al Mose o ad altre realtà meno note: a Catania è
toccato alla società dei rifiuti. Così ogni settimana gli impegni dell’Autorità
aumentano. Ci sono altri scandali da fronteggiare; richieste di intervento da
ogni parte di Italia a cui dare risposta formale e contemporaneamente la
necessità di riorganizzare subito la struttura riducendone spese e ranghi. Ma
Cantone non teme la quantità, da perfezionista ha paura solo di sbagliare.
Anche perché sa che sono in tanti ad aspettare il primo passo falso per mettere
tutto in discussione. E seppellire ogni speranza di cambiamento sotto una
coltre di polemiche.